La Pesca

Nell’Ottobre 1910, su iniziativa del cav. Carmelo Maniscalco, 37 pescatori spadaforesi danno vita alla Società della Pesca a.r.l.—Soc. Coop con sede in via Forni Pubblici 60.

Il primo consiglio di amministrazione vede eletto all’unanmità il Cav. Maniscalco, suo vice Pietro Ilacqua e in funzione di consiglieri : Francesco Aloi, Giuseppe Aloi, Gaetano Piraino e Francesco Ilacqua.

A quel tempo il mare di Spadafora sostentava circa 150 parentadi di pescatori, i quali operavano su una sessantina di barche. Si ricordano tramite il nomignolo, affettuosamente a ‘nciuria. Erano le famiglie:

Ilacqua (Panta);

Aloi (Patedda, Pira d’oru, Ariddittu, Muddichedda, Bastuni, Sammattinotu, Santedda, ‘Nciaccati, Ciolla);

Di Mento (Campareddu, Funciuni);

Lombardo (Callùni); Anastasi (Marabba); La Macchia (Nostromu, Pòmpinu); Merillo (Pirilli);

De Pasquale (Carraru); Squadrito (Piritta, Rizzi, Llampatu, Iattareddu);

Lo Surdo (Palummitani) Piraino (Pirainu); Vitale (Pascaleddi);

Santangelo (Becca);

Remigare (Baludda).

                                              

Come in tutte le tradizioni popolari, tali appellativi connotavano caratteristiche peculiari, mai offensive, dei soggetti (ad es.: “U Lampatu” era sopravvissuto ad un lampo che per tre giorni lo aveva reso quasi muto)

Le imbarcazioni erano senza motore e i pescatori, a forza di bracciate o quando possibile con l’ausilio della vela, raggiungevano le Eolie ove sostavano per diversi giorni. Alternando u cinciolu (rete circolare e seconda barca con lampare) alla sciabbica (doppie corde agganciate alla rete) con l’aiuto della provvidenza riuscivano a sostentare la famiglia.

Arriva il Boom Economico e nascono le prime forme di imprenditoria, il commercio del pesce fresco e quello del salato e tutta una serie di attività collegate (a putià di donna rosa, l’osteria da Juppa e mastru Cicciu, l’ambulantatu di raittèri), per giungere gradualmente ai primi grossisti del pescato, Filippo e Nino Giacobbe e altri Milìa, i germani Andrea Gaetano, Giovannino e Nino si dedicarono alla vendita in pescheria, allocata sulla Umberto I.

 

Il commercio del salato fu invece avviato dalle famiglie Giacobbe, La Macchia, San Martino e Di Mento.             

Ascoltando i racconti dei pescatori si possono ricordare le disavventure di alcuni di loro. È la notte del 21 Aprile 1950, una serata di pesca apparentemente tranquilla, la barca madre avanti a traino quella del lamparista Bartolo Aloi, inaspettatamente si alza lo scirocco e Bartolo Aloi viene avvistato esausto al largo delle coste campane vicino a Napoli.

Un’altra vicenda vede protagonista il Panta Gaetano Ilacqua. Sorpreso dal temporale snodò e annodò la seconda corda che portava sempre di scorta evitando l’impatto con la barca trainante.

Un triste avvenimento da ricordare è quello di Nino Pòmpinu il quale era solito portare a Stromboli merce di vario tipo da vendere, un giorno a Capo Milazzo lo sciaquio delle onde inzuppò i sacchi di gesso caricati a bordo e la barca cominciò a sprofondare, Nino non volle abbandonarla e il vortice li inabissò.

Ad oggi, solo una ventina di pescatori esercita il mestiere ed il parco barche attivo non supera le 15 unità.

Ma la passione e la tradizione non sono ancora perdute…

Sempre presenti le pescherie sul lungomare che ogni giorno vendono il fresco pescato dei nostri fidati pescatori locali.